Nel cinema, come nella vita, ci sono imprese che sembrano impossibili, finché qualcuno, più incosciente o coraggioso degli altri, non le affronta. Peter Jackson è quasi riuscito nell’impossibile: non tanto portare sullo schermo 1226 pagine di romanzo (appendici escluse), ma dare vita a un mondo, tradurre in immagini, accettabili da un pubblico di lettori appassionato e sterminato, la parola scritta di un uomo dalla inesauribile e profonda fantasia.
E l’ha fatto realizzando tre film contemporaneamente in un anno e mezzo, un’impresa titanica nel suo campo. Ora, resta da vedere se ci è riuscito. Come dicevamo, quasi. L’impresa, a parer nostro, resta impossibile, ma - ed è un giudizio assolutamente parziale che si basa solo su La compagnia dell’anello -, Jackson ci ha dato probabilmente la miglior versione cinematografica possibile della storia.
Purtroppo, in questo caso, chi non ha letto il libro è penalizzato nella visione del film. Nella necessità di dover sfoltire un materiale immenso, Jackson toglie tutte le digressioni. Giustamente, da un punto di vista cinematografico, visto che l’azione deve andare avanti e terminare, sia pure temporaneamente, nel tempo di tre ore. Purtroppo, però, il capolavoro tolkieniano vive proprio in virtù dei punti morti, delle digressioni, delle canzoni, dei momenti di respiro, riposo, pausa. E’ questo che rende possibile la frenesia delle battaglie, delle avventure, che le rende realistiche e plausibili, umane. E questo è quel che mi è maggiormente mancato nel film. Il cinema è per sua natura un mezzo sintetico: quel che si vede non c’è bisogno di raccontarlo. Per questo chi scrive lo considera, con poche eccezioni (Kubrick su tutte), inferiore alla letteratura. Ciò premesso, mi sento di affermare che nessun amante dei mondi di Tolkien può essere scontento delle immagini del film: la Terra di Mezzo si materializza sullo schermo, balzando viva, verde e fertile sotto gli occhi dello spettatore. Personaggi scritti sulla carta hanno finalmente un volto e un corpo, quasi sempre quello che abbiamo immaginato (ognuno avrà i suoi preferiti: personalmente ho trovato grandioso il Gandalf di sir Ian McKellen, fantastico il Boromir di Sean Bean, e perfetti tutti gli hobbit).
Insomma, vedendo il film, brividi di commozione mi hanno colto più volte, anche se altri momenti, come alcuni cambiamenti "non necessari", mi hanno lasciato più perplessa. Per giudicare come si deve la riuscita dell’opera aspettiamo il completamento della trilogia, ma senza accodarci al coro degli entusiasti tout court, e lontanissimi da quello dei detrattori, da lettori di Tolkien ci sentiamo di ringraziare Peter Jackson per averci, almeno, provato. Con cuore e anima, passione e sentimento, intelligenza e raziocinio. L’unico rimpianto in un film che dura tre ore, è che non sia durato dieci volte tanto: quando infatti si passa un po’ di tempo in un mondo che non perde la speranza nemmeno nei momenti più cupi, dove le creature più umili sono anche le più eroiche, tutti hanno a cuore la sorte degli altri, ed è vivo il desiderio di combattere contro il male fino al sacrificio personale, uscire dal cinema e ritrovarsi in una realtà in cui la gente subisce senza far niente le prepotenze e le derisioni del potere, risulta doppiamente deprimente.
Daniela Catelli
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