"...Il giovane Iramon era il più piccolo di tutti. Ma così piccolo, che alle volte eludeva gli avversari più imponenti passandogli addirittura sotto le gambe... Era dura, per lui, giocare ad un gioco tanto violento. Botte, scoppole, sgambetti e sporchi trucchi erano il sale del Blood Bowl, il Catino Insanguinato, così come era definito nel Vecchio Mondo...
Il campo si trasformava ben presto in una poltiglia mortale di fango e sangue, che non dava scampo ai più deboli ed esili. Ma non per quel piccoletto, dannazione. Faceva quasi invidia vederlo sgambettare per tutto il campo, evitando colpi proibiti con notevole incoscienza, tentando di raccattare un pallone, anche lui, ironia della sorte, spinato come tutto il mondo che ruota attorno al... gioco. Strani regolamenti.
L’acredine nelle partite giungeva ad un picco inverosimilmente alto quando le razze che si affrontavano erano nemiche giurate. I guaritori finivano spesso le bende, e forse era meglio farsi male per primi, cosicché qualche medicamento sarebbe toccato di sicuro... Orchi ed Umani, Elfi e Nani, Uomini Bestia e Non Morti si affrontavano in memoria delle antiche battaglie che furono, una maniera quasi intelligente di esorcizzare la guerra, di risparmiare vite umane e... non. Certamente, al di fuori del campo, chiaro. Perché chi scendeva nel Catino Insanguinato non era poi così sicuro di riuscire ad andarsene con le proprie gambe.
Il giovane e minuscolo Iramon era sempre lì, ogni fine settimana, con le sue affettuose protezioni porta fortuna, che, probabilmente, non erano state buone neppure per giocare alla guerra quando era stato un bambino.
Ma lui aveva intuito tutto. Aveva capito che bisognava correre, darsi da fare, esser veloci e pronti a scattare, perché le sorti di una partita e, a volte, persino di una stagione, si decidono in un istante. Corazza pesante = lentezza... Sì, certo, meno dolore, meno danni, meno rischio... Ma Iramon aveva capito che per fare meta bisogna essere fulminei, imprendibili, pronti a scommettere sul proprio osso del collo. Avrebbe giocato in mutande, avesse potuto, ma il regolamento obbligava le squadre partecipanti a scendere in campo con divise omogenee e di colori ben distinguibili...
E non vince chi dà più colpi o si fa meno male, vince colui il quale riesce a fare un punto in più dell’avversario..."
Da "Le mille e una caramella".
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